Geograficamente situata in Asia, l’isola di Cipro dista circa 70 km dalle coste dell’Anatolia, 100 km da quelle del Vicino Oriente e quasi 400 da quelle africane.
Nel corso dei secoli numerosi popoli ed imperi si sono succeduti nel controllo dell’isola: nell’antichità i Micenei, l’Egitto dei faraoni, l’Impero Persiano Achemenide, l’Impero di Alessandro Magno, l’Egitto della dinastia ellenistica dei Lagidi (Tolomei) e Roma; nel Medioevo: l’Impero Bizantino, gli Arabi, l’Ordine dei Templari e la dinastia francese dei Lusignano; in epoca moderna la Repubblica di Venezia, l’Impero Ottomano ed infine in epoca contemporanea l’Impero Britannico. La particolare collocazione geografica ha fatto si che fin dall’antichità l’isola risultasse determinante per il controllo del Mediterraneo orientale.
L’importanza geostrategica di Cipro aumentò con l’apertura del Canale di Suez (1869) che consentiva la navigazione dall’Europa all’Asia senza dovere più circumnavigare l’Africa; ciò destò l’interesse britannico che nel 1878 ottenne dalla Sublime Porta il permesso di occupare ed amministrare l’isola.
Durante la dominazione britannica le tensioni, alimentate ad arte da Londra, tra le due comunità, quella di lingua greca maggioritaria che puntava all’unione (énosis) con la Grecia e quella di lingua turca minoritaria che invece optava per la separazione (taksim), spinse sia Atene che Ankara ad intromettersi negli affari interni dell’isola.
L’adesione della Grecia e della Turchia alla NATO (1952) e l’indipendenza di Cipro (1960) non stemperarono le tensioni tra i due paesi e tra le due comunità isolane che anzi aumentarono fino a sfociare in violenti scontri interetnici che richiesero nel 1964 l’invio di una missione ONU; la UNFICYP (United Nations Peacekeeping Force in Cyprus).
Nel luglio del 1974, per contrastare un colpo di Stato dei radicali greco-ciprioti sostenuti dalla giunta militare dei colonnelli di Atene che aveva come obiettivo l’annessione di Cipro alla Grecia, l’esercito turco invase la parte nord dell’isola (Operazione Attila) occupando circa un terzo dell’intero territorio e cacciando oltre centomila residenti greco-ciprioti verso sud.
Posta davanti alle coste mediterranee dell’Anatolia, quasi a formare una naturale barriera difensiva da eventuali attacchi provenienti da sud, l’importanza geostrategica di Cipro non poteva certo sfuggire ad Ankara che in questo modo si assicurava il controllo del lato nord dell’isola prospiciente le coste anatoliche.
L’intervento militare turco ricevette l’implicito avallo degli USA e dalla Gran Bretagna (la quale manteneva sull’isola le due basi militari di Akrotiri e Dhekelia) che mal tolleravano l’adesione di Cipro al Movimento dei Paesi Non Allineati per opera del primo presidente l’Arcivescovo Makarios III.
Nel 1983 la parte nord dell’isola si auto proclamò indipendente col nome di Repubblica Turca di Cipro Nord (TRNC). La dichiarazione di indipendenza, riconosciuta solo da Ankara, fu dichiarata “non valida dal punto di vista giuridico” dalle Risoluzioni 541 (1983) e 550 (1984) del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Ma è solo negli ultimi sette anni, con l’adesione della Repubblica di Cipro all’Unione Europea, il fallimento del piano Annan e la ripresa delle trattative tra le due comunità nel 2008, che la questione cipriota ha riacquistato nuova visibilità ed interesse a livello internazionale.
Il fallimento del piano Annan, la ripresa del dialogo, la vittoria di Eroğlu e gli ultimi risvolti di gennaio 2011
Il 24 aprile 2004 sia nella parte greca che in quella turca di Cipro si svolse il referendum sull’ultima versione del Piano per la riunificazione dell’isola presentato dal segretario dell’Onu Kofi Annan.
Il Piano Annan prevedeva la creazione di una Repubblica Unita di Cipro, con bandiera nazionale ed inno unificati. La nuova entità politica sarebbe stata retta da un governo federale composto da due Stati costituenti, con un senato federale formato da ventiquattro turco-ciprioti e ventiquattro greco-ciprioti che avrebbe dovuto costituire l’assemblea legislativa comune. La presidenza, a rotazione, prevedeva che ad un presidente greco-cipriota si sarebbe dovuto affiancare un vice-presidente turco-cipriota. Il Piano stabiliva una suddivisione tra materie federali e materie riservate alle due comunità ed una progressiva smilitarizzazione dell’isola.
Il 75% dei greco-ciprioti votarono contro il Piano mentre il 64% dei turco-ciprioti si espressero a favore. Uno dei punti più controversi, che aveva spinto i tre quarti dell’elettorato greco-cipriota a respingere il Piano Annan, prevedeva che i costi della riunificazione sarebbero stati in gran parte a carico della comunità greco-cipriota. Inoltre secondo i greco-ciprioti il Piano non fissava una precisa tabella per il ritiro degli oltre trentacinquemila militari di Ankara stanziati nella TRNC.
Lo stesso presidente della Repubblica di Cipro Tassos Papadopoulos, considerando l’accordo troppo sbilanciato a favore dei turchi e approfittando del fatto che l’esito del referendum non avrebbe influito sull’ingresso della Repubblica di Cipro nell’Unione Europea, prevista per il 1º maggio, si schierò a favore della bocciatura del Piano.
La vittoria del no nella parte greco-cipriota suscitò profonda delusione nella parte turco-cipriota e l’irritazione dell’intera comunità internazionale in particolare dell’Onu che si era spesa in prima persona con la presentazione di un Piano. Per quasi quattro anni, dal referendum fino alle elezioni presidenziali nella Repubblica di Cipro, le Nazioni Unite si disinteressarono alla questione cipriota in attesa di tempi migliori.
Per una ripresa del dialogo tra le due comunità bisognerà attendere il 2008. Intanto nel 2005 era stato eletto presidente della TRNC Mehmet Ali Talat leader del Partito Turco Repubblicano e già primo ministro ai tempi del referendum del 2004 per il quale si era schierato a favore del si. Il 24 febbraio 2008 venne eletto presidente della Repubblica di Cipro Dimitris Christofias leader di AKEL (Partito Progressista dei Lavoratori) lo storico partito comunista dell’isola. Entrambi di sinistra e giovani rispetto alla generazione protagonista del conflitto (Rauf Denktaş, Glafkos Klerides, Spyros Kyprianou, Tassos Papadopoulos) Talat e Christofias erano uniti dalla sincera volontà di perseguire la riunificazione dell’isola.
Il 21 marzo, a meno di un mese dall’elezione di Christofias, ebbe luogo il primo incontro tra i due presidenti. Come segno della rinnovata fiducia tra le parti il 3 aprile veniva aperto un varco a Ledra Street, la principale via pedonale di Nicosia lungo la quale corre la Green Line (Linea Verde) che divide in due la città e l’isola. Negli incontri successivi, tra marzo e luglio 2008, le due parti maturarono la decisione di avviare nuove trattative e stabilirono che un eventuale accordo sarebbe stato sottoposto ad entrambe le comunità mediante referendum.
I due leader dichiararono di voler dare vita ad una federazione bi-zonale e bi-comunitaria “con eguaglianza politica.” Inoltre stabilirono che la Federazione doveva avere una “singola sovranità e cittadinanza.”
Una prima sessione di incontri si svolse tra settembre 2008 ed agosto 2009. La questione più complessa da risolvere riguardava la struttura dello Stato.
Il primo ostacolo riguardava la presidenza ed i poteri da conferire allo Stato federale. L’altro grande ostacolo era rappresentato dalla genesi del nuovo Stato. I greco-ciprioti sostenevano che esso dovesse essere il diretto erede della Repubblica di Cipro poiché temevano che alla comunità turca fosse riconosciuto il diritto alla secessione. Per l’ipotesi contraria propendevano i turco-ciprioti.
I greco-ciprioti, inoltre, volevano la piena libertà di lavorare, risiedere e acquistare in tutta l’isola; i turco-ciprioti puntavano a limitare queste libertà nel nord per evitare il ritorno degli sfollati greci. Altro grande problema era quello delle proprietà.
A giugno 2009 il presidente Christofias manifestò segni di insoddisfazione per l’andamento delle trattative e per gli scarsi risultati conseguiti, segno dell’estrema complessità delle questioni poste sul tavolo.
Tra settembre 2009 e marzo 2010 si svolse una seconda sessione di incontri. Le trattative vennero interrotte dalle elezioni presidenziali nella TRNC, previste per il 18 aprile 2010, che videro l’affermazione con il 50,38% dei voti di Derviş Eroğlu leader del Partito di Unità Nazionale.
Il nuovo capo di stato dichiarava di voler puntare non alla riunificazione dell’isola bensì ad una sua divisione in due Stati. L’uscita di scena di Talat, sostenitore dell’unificazione e di più stretti rapporti con l’Unione Europea, ha rappresentato un duro colpo per il processo di riunificazione. Le cause della sua sconfitta vanno ricercate nella difficile situazione economica in cui versa la TRNC dovuta all’isolamento internazionale cui è sottoposta e agli scarsi progressi compiuti nel processo di riunificazione.
Le elezioni presidenziali nella TRNC hanno evidenziato una netta spaccatura all’interno della comunità turco-cipriota. Determinante per la vittoria di Eroğlu è stato il sostegno dei coloni anatolici inviati dalla Turchia dopo il 1974 al fine di aumentare la percentuale dei turchi sull’isola ma la cui presenza non è accettata come legittima dalle autorità della Repubblica di Cipro. Più sensibili al discorso nazionalista questa parte della comunità è orientata alla definitiva partizione dell’isola. Viceversa Talat ha ottenuto il sostegno dei turchi autoctoni favorevoli alla riunificazione in virtù di una secolare convivenza con la comunità greca.
Diversamente da quanto si prevedeva in un primo momento, la vittoria del nazionalista Eroğlu non ha segnato una discontinuità, almeno sotto il profilo formale, anche per merito di Ankara che ha esercitato pressioni affinché la nuova leadership turco-cipriota continuasse le trattative al fine di non compromettere il suo già difficile cammino di adesione alla UE. È innegabile che con l’uscita di scena di Talat è venuto meno quell’entusiasmo e quella genuina ricerca di un accordo che accomunava entrambe le leadership.
I lavori su richiesta di Christofias sono ripresi dal capitolo delle proprietà, il più complesso poiché quello che presenta le maggiori difficoltà di natura politica, economica e tecnica. Ma nel corso del 2010 il negoziato intercipriota, giunto prossimo allo stallo, ha richiesto l’intervento diretto del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon che ha invitato a New York, per il 18 novembre 2010, i leader delle due comunità, Dimitris Christofias e Derviş Eroğlu. Entrambi hanno ribadito la volontà di intensificare le trattative per superare i punti di maggiore disaccordo: proprietà, aggiustamento territoriali e garanzie.
Il Segretario Generale ha dato appuntamento ai due leader a Ginevra per la fine di gennaio 2011. Ma come era facile prevedere l’incontro di Ginevra non ha prodotto passi in avanti. Inoltre le elezioni legislative del 22 maggio nella Repubblica di Cipro e quelle del 12 giugno in Turchia comporteranno un ulteriore stallo nel prosieguo del negoziato.
L’insuperabile ostacolo di Cipro
La questione di Cipro rappresenta un vero e proprio nodo gordiano per la politica estera di Ankara. La necessità di trovare una soluzione che risulti soddisfacente per tutte le parti coinvolte nella disputa (le comunità greco e turco-cipriota, la Grecia e la Turchia) è diventata ancora più impellente alla luce delle nuove ambizioni in politica estera del paese anatolico.
Attualmente Cipro è all’origine del congelamento dell’ingresso della Turchia nell’Unione Europea ed un forte limite alla nuova politica estera promossa dal governo del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan, teorizzata dal ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu.
Senza un accordo che ponga fine alla questione cipriota, Ankara non potrà ambire ad entrare nell’Unione Europea. Nicosia, in qualità di paese membro della UE, può esercitare il diritto di veto sull’ingresso di Ankara che da parte sua non riconosce la Repubblica di Cipro come soggetto internazionale. Come diretta conseguenza 8 dei 35 capitoli negoziali tra Ankara e Bruxelles sono fermi dal 2006 a causa del rifiuto turco di aprire i porti e gli aeroporti alle navi ed agli aerei greco-ciprioti. Ufficialmente questa posizione è motivata dal fatto che la Turchia vuole che la UE onori la promessa di porre fine all’isolamento della TRNC come ricompensa per l’accettazione del Piano Annan; in realtà l’apertura degli scali navali ed aeroportuali significherebbe per il governo di Ankara un automatico riconoscimento della Repubblica di Cipro ed una implicita condanna dell’operazione militare che nel 1974 portò all’occupazione della parte settentrionale dell’isola ed all’espulsione dei greco-ciprioti.
Per il governo dell’AKP, come per qualsiasi altro governo turco, le conseguenze di un simile gesto sarebbero disastrose in termini elettorali.
Da sempre, infatti, la questione cipriota è uno dei temi di politica estera che più infiammano il dibattito politico e l’opinione pubblica turca. Per trent’anni, fino all’avvento dell’AKP, essa ha di fatto monopolizzato la politica estera del paese che si limitava al suo ruolo all’interno della NATO, alle sue aspirazioni europee ed all’estenuante confronto con la Grecia all’interno del quale si colloca la questione cipriota.
Paese profondamente nazionalista, la questione di Cipro Nord tocca un nervo particolarmente sensibile capace di eccitare il nazionalismo turco trasversale ai partiti ed alla stessa società turca. Ciò spiega la forte reticenza dei governi ad assumere qualsiasi iniziativa che possa apparire come una concessione alla parte avversa. Ogni qual volta che i negoziatori trovano un accordo su una questione che sembra propendere verso la parte rivale, la stampa e le forze politiche contrarie al dialogo scatenano una campagna propagandistica che rappresenta la più minima delle concessioni alla controparte come una sconfitta ed uno smacco all’orgoglio ed al prestigio della Nazione.
La propaganda nazionalista, avversa al dialogo, diventa particolarmente pressante con l’approssimarsi delle campagne elettorali; anche questa volta c’è d’aspettarsi che Cipro sarà uno dei temi che maggiormente infiammeranno l’imminente campagna elettorale in vista delle elezioni legislative del 12 giugno. Ciò si traduce in uno stallo delle trattative tra greco e turco-ciprioti.
La nuova politica estera di Ankara si basa sul concetto di “profondità strategica.” Si tratta di una vasta area geografica (Balcani, Vicino Oriente, Caucaso, Mar Nero, Mediterraneo Orientale) nella quale la Turchia dovrebbe fungere da elemento di moderazione e di stabilizzazione. Dal concetto di “profondità strategica” deriva il principio geopolitico di “zero problemi con i vicini.” Per Davutoğlu la politica estera turca deve impegnarsi a creare lungo i propri confini un’area di stabilità e di pace tale da permetterle di dispiegare il proprio soft power che si esprime mediante l’aumento dell’interscambio commerciale, la firma di accordi energetici con i paesi confinanti e prossimi e la promozione dell’eredità culturale ottomana. Ma questo principio geopolitico presuppone una normalizzazione delle relazioni con la Repubblica di Cipro, rientrante nella “profondità strategica.”
In un paese democratico i partiti politici tendano ad evitare quelle scelte politiche che possano danneggiarle in termini elettorali. Il timore di perdere il consenso di quella fetta dell’elettorato più sensibile al discorso nazionalista a tutto vantaggio del CHP (Partito Repubblicano del Popolo) e degli ultranazionalisti dell’MHP (Partito del Movimento Nazionalista) in parte spiega perché la nuova politica estera del governo dell’AKP nel caso di Cipro manca di quella dinamicità e capacità propositiva evidente soprattutto nei rapporti con i paesi arabi e con l’Iran.
In vista delle elezioni l’AKP sembra aver deciso di giocare la carta nazionalista in modo da sottrarre voti all’MHP ed al CHP ed ottenere una maggioranza parlamentare il più ampia possibile; l’obiettivo sarebbe la maggioranza dei due terzi dei seggi in parlamento per far approvare una nuova Costituzione senza dover ricorrere all’appoggio di altri partiti.
In questo modo su Cipro il governo dimostra come l’elemento nazionalista sia ancora in grado di condizionare pesantemente le sue scelte. La questione curda, i rapporti con l’Armenia e Cipro, sono i limiti più evidenti in politica interna ed estera di un governo che, se è riuscito a scrollarsi di dosso l’opprimente tutela dei militari, non sembra ancora maturo per affrancarsi dal condizionamento del “dogma nazionalista.”
Nessun governo turco si azzarderà mai a fare delle scelte su un tema così scottante, come Cipro, senza un’adeguata contropartita che può essere concessa solo dalla UE.
Il ruolo di Bruxelles finirebbe con l’essere strategico al fine di trovare una soluzione che risulti soddisfacente per tutte le parti e per offrire al governo turco quell’aiuto esterno necessario per superare le pressioni e le resistenze interne.
In realtà la questione cipriota è il paravento dietro il quale si nascondono gli oppositori dell’ingresso di Ankara nella UE. Al momento gli unici paesi che si sono dichiarati apertamente contrari ad un eventuale ingresso della Turchia sono la Francia e la Germania. Ciò ha permesso ad una folta schiera di paesi (Austria, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Svezia, Lussemburgo, accumunati dalla presenza al loro interno di una folta comunità di immigrati anatolici) di mantenere una posizione ambigua. Trovare una soluzione al problema di Cipro costringerebbe la UE a dover fare chiarezza sulle sue reali intenzioni, schiodando diversi paesi da un atteggiamento incerto ed obbligandoli così ad assumere una posizione chiara.
Presenti sull’isola dal 1964 con la missione UNFICYP (United Nations Peacekeeping Force in Cyprus) le Nazioni Unite sono da quasi mezzo secolo impegnate nel tentativo di trovare un accordo. La UE ha sempre mantenuto un atteggiamento defilato in una disputa per essa tanto più importante poiché coinvolge paesi membri dell’Unione Europea ed altri che ambiscono ad entrarvi.
Un’interpretazione maliziosa suggerisce che all’interno dell’Europa c’è chi non ha fretta di raggiungere un accordo. Francia e Germania, che insistono sul fatto che la Turchia dovrebbe avere un partenariato privilegiato ma non piena adesione all’Unione Europea, sono ben felici di nascondersi dietro le obiezioni su Cipro.
Da parte sua Bruxelles pone sul tavolo una serie di problematiche (l’insoddisfacente deficit democratico, la questione curda, i rapporti con l’Armenia ed il riconoscimento del genocidio armeno, la difficoltà ad assimilare l’acquis comunitario) che Ankara non ha fretta di affrontare senza una dichiarazione di Bruxelles su un suo eventuale ingresso in un arco di tempo che risulti ragionevole. D’altro canto Bruxelles, in mancanza di sostanziali passi in avanti di Ankara nel campo delle riforme richieste, non può sbilanciarsi nel fissare alcuna data. Inoltre dopo gli allargamenti del 2004 e del 2008 i vertici della UE non sembrano affatto intenzionati ad accelerare i tempi per l’adesione turca.
Il nuovo attivismo in politica estera della Turchia ha inserito un ulteriore elemento di complessità. La “riscoperta” della sua dimensione vicino orientale come conseguenza della sua penetrazione economica nei mercati della regione (facilitati da accordi come la recente Unione Doganale con Siria, Libano e Giordania, primo passo verso la creazione di un più vasto spazio economico che coinvolga tutti i paesi dell’area) stanno creando quell’alternativa “orientale” che disincentiva l’impegno turco nel perseguire l’integrazione europea e la risoluzione del problema di Cipro.
La stessa Repubblica di Cipro, nonostante le trattative in corso e le dichiarazioni di buona volontà, non sembra impaziente di unirsi alla sua povera metà settentrionale. Ora che Nicosia è diventata un membro dell’Unione Europea ed ha aderito all’euro (2008), un eventuale riunificazione con la TRNC la costringerebbe a massicci investimenti nella parte turco-cipriota.
La Grecia, alle prese con una pesantissima crisi finanziaria, teme che il suo potente vicino anatolico possa approfittare delle sue difficoltà, di conseguenza non ha fretta di raggiungere un accordo che potrebbe sbloccare il suo cammino vero la UE.
Ma è soprattutto la TRNC a subire in questa fase di stallo le conseguenze più pesanti essendo la parte più debole. La difficile situazione economica che la rende totalmente dipendente dalla madrepatria e la prospettiva di riunificazione che si allontana sempre più, hanno spinto i turco-ciprioti per la prima volta dall’invasione del 1974 a scendere in piazza a protestare. Le manifestazioni del 28 gennaio e del 2 marzo sono state originate dalle misure d’austerità imposte dalla Turchia (che fornisce annualmente 700 milioni di dollari in aiuti) e dalla richiesta di riunificazione dell’isola. È probabile,quindi, che nel breve e medio termine sarà soprattutto la comunità turco-cipriota ad esercitare maggiori pressioni per il prosieguo delle trattative.
La questione cipriota si lega alla vicenda del Kosovo la cui indipendenza (17 febbraio 2008) riconosciuta dagli USA e da una buona parte dei paesi della UE, ha aperto la strada ad un preoccupante precedente con potenziali conseguenze che potrebbero estendersi da Cipro al Caucaso.
L’indipendenza del Kosovo, infatti, è stato il precedente utilizzato dalla Russia per riconoscere l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud a seguito della sciagurata guerra scatenata dalla Georgia di Mikheil Saakashvili, il cui unico risultato è stato quello di frantumare, forse irrimediabilmente, l’integrità territoriale del paese caucasico.
L’indipendenza ed il riconoscimento internazionale (sebbene non unanime) del Kosovo, dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, in teoria potrebbero essere il precedente utilizzato anche dalla Turchia per spingere verso un definitivo riconoscimento internazionale della Repubblica Turca di Cipro Nord. L’eventuale riconoscimento della TRNC avrebbe conseguenze negative su un’altra questione particolarmente delicata per la Turchia; il Nagorno-Karabakh/Artsakh, l’enclave armena in territorio azero autoproclamatasi indipendente ed anch’essa non riconosciuta a livello internazionale.
Molto probabilmente nel caso in cui l’indipendenza della TRNC venisse riconosciuta da altre nazioni le tensioni della Turchia con la Repubblica di Cipro e con la Grecia finirebbero per compromettere la sua penetrazione nei Balcani (area anch’essa rientrante nella dottrina della profondità strategica) e la sua integrazione nella UE.
Come reazione altri paesi (in primis la Repubblica di Cipro e l’Armenia) potrebbero essere spinti a riconoscere l’indipendenza del Nagorno-Karabakh/Artsakh con il rischio di provocare un nuovo conflitto tra Baku e Yerevan che avrebbe ricadute deleterie per gli interessi geopolitici e geoeconomici della Turchia nella Transcaucasia ed in Asia Centrale. La stessa politica estera di Ankara, incentrata sulla dottrina della profondità strategica e sul principio di “zero problemi con i vicini” ne risulterebbe seriamente compromessa.
Qualunque sarà l’esito delle elezioni legislative in Turchia del 12 giugno (la vittoria dell’AKP è data per certa) l’approccio del governo turco alla questione cipriota rimarrà immutato. Il governo Erdoğan non ha interesse a riconoscere l’indipendenza della TRNC. A quasi trentasette anni dall’invasione, l’indipendenza della parte nord dell’isola di Afrodite è una realtà di fatto. Sebbene riconosciuta solo dalla Turchia la TRNC è un membro della TURKOY (l’Organizzazione internazionale della cultura turca) ed è osservatore dell’OCI (Organizzazione per la Conferenza Islamica) il che equivale ad un implicito riconoscimento della sua indipendenza da parte dei paesi islamici e turcofoni. Inoltre le nuove generazioni greco e turco-cipriote, non avendo memoria dei tempi in cui l’isola era unificata, percepiscono la divisione come qualcosa di immutabile. Più che le divisioni politiche sembra essere la forte sperequazione economica a rendere irrealistica, almeno nel breve e medio periodo, la riunificazione. In trentasette anni le due parti hanno percorso strade differenti che hanno portato la TRNC a diventare di fatto l’ottantaduesima provincia turca con un grado di sviluppo paragonabile a quello delle più arretrate province dell’Anatolia; Viceversa la Repubblica di Cipro si è affermata come una delle più ambite mete turistiche del Mediterraneo. Inoltre i servizi finanziari off-shore offerti dalle sue banche attraggono importanti flussi di denaro spesso di dubbia provenienza o destinati a finalità poco trasparenti.