L’invasione dell’Iraq gestita dagli USA nel 2003 ha sollevato l’attività dei Curdi turchi e siriani, che calza a pennello nell’iniziativa di Washington del “Grande Medio Oriente” (GMEI) e nei piani di USA, Gran Bretagna e Israele di configurare il cosiddetto asse di instabilità, in espansione dal Libano, dall’autonomia palestinese in Siria, dall’Iraq, dal Golfo Persico e dall’Iran, fino al confine afghano e ancora in Kashmir, Xinjiang e Tibet – così come lo profila l’amministrazione Obama.
Durante la campagna irachena del 2003, la Turchia – per la prima volta da quando è stato firmato il trattato di Losanna nel 1923 – ha dovuto accettare la posizione statunitense, che ha reso il movimento curdo un elemento indipendente della politica internazionale. Di conseguenza, l’invasione statunitense dell’Iraq ha cambiato il modo dei politici turchi di intendere il loro ruolo nella politica estera nazionale.
Questi recenti cambiamenti politici in Turchia mostrano che i suoi interessi non corrispondono più con la posizione degli Stati Uniti. Ankara è diventata meno entusiasta di unirsi all’Unione Europea e ora è più attenta al Medio Oriente ed è pronta a prendere in considerazione gli interessi regionali della Russia e dell’Iran. Nell’agosto 2010 Ankara ha annunciato l’intenzione di escludere la Russia, la Grecia, l’Iran e l’Iraq dalla sua “threat list”.
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La Turchia vede la cooperazione economica con queste regioni come una chiave per una posizione geopolitica più consolidata. Ed è proprio in questa direzione che va la linea di condotta della Turchia in Afghanistan. Le due nazioni hanno mostrato qualche cambiamento positivo in relazione l’una all’altra. In primo luogo, la Turchia è una nazione musulmana, e le sue truppe in Afghanistan sono meglio accette che quelle americane e europee. Inoltre, la Turchia non confina con l’Afghanistan, il che è più un vantaggio che uno svantaggio.
A differenza di altre nazioni, la Turchia non ha interesse a controllare l’Afghanistan. A questo si aggiunga che la Turchia è la nazione con più esperienza in termini di tattica militare di guerriglia. In ogni caso, la Turchia si affida soprattutto alla diplomazia nel promuovere la pace in Afghanistan.
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Ma tutti gli sforzi turchi in Afghanistan potrebbero cadere nel vuoto nel caso in cui almeno una parte del piano (GMEI), che gli USA chiamano anche “Belucistàn Indipendente”, fosse messa in pratica.
Le province iraniane di Sistan e Belucistàn sono patria di un milione circa di persone di lingua Beluce. Il governo dell’Iran controlla con attenzione il modo in cui si trasferiscono, prevenendo alterazioni volontarie della sua politica demografica. In realtà, non esiste un vero e proprio “problema Belucistàn” in Iran, nonostante le attività di forze anti-iraniane mirino a rendere precaria la situazione nelle aree abitate dai Beluci. Tali forze sono rappresentate principalmente da due gruppi islamici – i Mujaheddin-e Khalq e i Fedayyin-e Khalq. Considerate un tempo partiti di sinistra, oggi entrambe le organizzazioni possono essere classificate come estremiste, e entrambe sono in contatto con la CIA e con i servizi di intelligence iracheni – Mukhabarat.
Gli ideali nazionalisti e il separatismo sono diffusi soprattutto nel Belucistàn orientale (Pakistan), dove il numero di Beluci è di circa quattro milioni. Le organizzazioni pubbliche beluce all’estero sono state fondate principalmente da persone di origini pachistane, che cercano di fomentare le tensioni nel Belucistàn iraniano. L’idea del “Grande Belucistàn” è molto apprezzata dai Beluci orientali, che promuovono una politica nazionalista. Una mappa del “Grande Belucistàn” copre territori vastissimi, che si espandono ben oltre le aree abitate dai parlanti il Beluci. Il suo confine occidentale raggiunge l’Iran centrale, e quello orientale il Pakistan. L’ampiezza del confine orientale si distende fino al sudest dell’Afghanistan e al distretto di Mary in Turkmenistan. Dopo la fondazione del Pakistan nel 1947, i leader beluci avevano cercato di proclamare unilateralmente l’indipendenza, tuttavia le terre beluce furono annesse al Pakistan. Nel 1952-1955 venne creata l’Unione delle province Beluce, che in seguito è diventata la provincia del Belucistàn. Ciononostante gli scontri etnici sono continuati, specialmente negli anni 70.
La popolazione beluce in Afghanistan è stimata intorno alle 300 mila persone. Costoro vivono nelle province di Nimruz e Helmand nel sudovest dell’Afghanistan. Essi sono membri attivi della comunità Pashtu e non sembra che cerchino l’indipendenza etnica.
L’Esercito di Liberazione Beluce (BLA), un’organizzazione militante che ha combattuto contro il governo pachistano tra il 1973 e il 1977, è tornato alla ribalta nel 2004. È stimato che conti diecimila membri, tutti addestrati in dozzine di campi posizionati nei distretti di Kohlu, Dera Bugti e Kach-Gvadar. Alcune fonti pachistane indicano che in questi campi si esercitano anche mercenari stranieri, tra cui uzbechi e uiguri. Il gruppo separatista beluce “Jundullah” opera al confine tra Iran, Afghanistan e Pakistan. Le prime testimonianze su questo gruppo sono datate al 2003.
Unire tutti i territori di lingua Beluce è l’unico modo per stabilire uno stato indipendente del Belucistan. Con la privazione di una delle sue province l’Iran perderebbe influenza sul Golfo, mentre il Pakistan vedrebbe semplicemente dimezzarsi il suo territorio. Il Belucistàn acquisirebbe poi il controllo dello Stretto di Hormuz e, considerando che nelle nazioni del Golfo abitano decine di migliaia di Beluci, ciò avrebbe un impatto sulla bilancia geopolitica nel Medio Oriente, in Asia Centrale e nel Caucaso.
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I Pashtun, abitanti della “Terra di Pashtunistan”, appaiono come un altro problema spinoso in linea con quello del Belucistàn e del Kashmir. L’Afghanistan si è sempre opposto ad una demarcazione territoriale (Linea Durand) che fu imposta dall’Impero Inglese e che escludeva numerose tribù pashtun dallo Stato. Ma quando i britannici lasciarono l’area, le tribù pashtun orientali che abitavano la Provincia della Frontiera del Nord Ovest (NWFP) del Pakistan (oggi nota come Khyber Pakhtunkhwa, NdT) si accorsero che era preferibile rimanere nel Pakistan invece che unirsi all’Afghanistan. Le tribù pashtun di questa provincia avevano maggiore interesse nei centri urbani del Punjab e del Sindh, mentre l’Afghanistan indipendente non riuscì ad offrire loro niente di più attrattivo per convincerli ad abbandonare la loro posizione di parte dell’ex India inglese. Le tribù pashtun orientali furono coinvolte in diversi processi politici durante la ripartizione dell’India britannica e in breve divennero parte dell’élite pachistana.
Ancor’oggi ci sono molti sostenitori del progetto “Pashtunistan Indipendente” a Kabul e Kandahar, i quali sono in grado di lanciare una campagna su larga scala per l’unificazione delle genti pashtun sotto il nome di “Turkmenistan afghano” (il nord dell’Afghanistan).
Ci sono segnali di crescente tensione in Afghanistan: la resistenza alla presenza straniera, la tendenza al decremento del numero di truppe ISAF, la debolezza delle forze di sicurezza nazionale afghane. Tralasciando ciò, non ci si può dimenticare della “rinascita” del Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) nelle province del nord e nordest come della sua crescente attività in Asia Centrale.
In Tagikistan ci sono stati segni di tensione nella seconda metà del 2010. Dopo scontri tra il maggio e l’aprile 2010 nella provincia autonoma di Gorno-Badachšan, il governo ha risposto con rappresaglie contro i membri dell’ex Opposizione Unita tagica e del clero musulmano. In seguito avvenirono altri incidenti di questo genere, tra cui l’evasione di prigionieri condannati per terrorismo, rivolte a Nurek, un attacco suicida nei pressi di una stazione di polizia a Khudzhand e altri tragici eventi.
La situazione del Kirghizisistan è allo stesso modo pericolosa. I sanguinosi scontri del giugno 2010 a Osh e Jalalabad sono opera della marcata aggressività dei nazionalisti kirghisi. Un conflitto etnico tra il Kirghizistan e l’Uzbekistan a giugno ha inoltre risvegliato la sete di vendetta nella comunità uzbeka nel sud del Kirghizistan, così come la crescita di proteste anti-kirghise in altre aree al confine con l’Uzbekistan. Tenendo in conto la presenza di gruppi estremisti particolarmente attivi – IMU e Hizb ut Tahrir – la situazione è tutt’altro che pacifica.
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In vista della trasformazione in atto nel sistema geopolitico, che comprende i processi regionali riguardanti la Turchia, ogni governo dell’Asia Centrale dev’essere cauto e analizzare molto attentamente le proprie priorità nella politica estera, in modo da essere pronto a cambiamenti drammatici. Tralasciando la questione curda, ci sono altri problemi per i quali la Turchia non la vede come gli Stati Uniti e come altre nazioni occidentali. C’è una certa relazione tra la Russia, la Georgia, l’Armenia, la Grecia; il conflitto arabo-israeliano; le tensioni nel Caucaso e a Cipro; il ruolo della Turchia nei progetti energetici russi e la cooperazione per l’energia nucleare; le relazioni commerciali con l’Iran e la questione del nucleare iraniano.
Non intendo dire che questa vasta regione che si estende dal Maghreb allo Xinjiang e al Kashmir sia condannata. Tuttavia, non possiamo che essere preoccupati del fatto che la situazione possa volgere al peggio in qualunque momento. Ecco perché tutti gli Stati dell’Asia Centrale hanno la necessità di unire i propri sforzi per condurre la propria politica estera in armonia con lo stato attuale delle cose.
Traduzione di Alessandro Parodi