Fonte: “East Side Report”
Qualcosa nell’isola democratica non funziona. Secondo il presidente Mikhail Saakashvili è sempre colpa della Russia, anche stavolta. “Non volevano la libertà di parola, volevano la violenza e i morti”, ha accusato, puntando il dito contro gli organizzatori delle dimostrazioni che per diversi giorni hanno chiesto le sue dimissioni, fino all’escalation nel Giorno dell’Indipendenza.
Saakashvili ha assicurato che “la Georgia non soccomberà, difenderà la sua indipendenza dai fattori esterni” e ha parlato di “un attacco contro la nostra libertà e un atto di vendetta nei confronti del nostro esercito, che ha causato loro tanti danni nel 2008 come non avevano provato negli anni precedenti”. A dire il vero il risultato che il conflitto da lui scatenato nell’agosto di tre anni fa (come provato dalla Commissione indipendente guidata da Heidi Tagliavini) è stato quello di far perdere alla Georgia un terzo del proprio territorio, ora occupato dalla Russia.
L’opposizione, sia quella scesa in piazza (alla Nino Burdzhanadze) sia quella moderata (alla Irakli Alasania), dice da anni che gli errori di Saakashvili hanno ormai trasformato il Paese in una dittatura. La prima, ex alleata di Saakashvili nella rivoluzione delle rose, vuole rovesciare al più presto l’attuale presidente. Il secondo preferisce la via istituzionale. Ma l’opposizione georgiana è frammentata; altri diversi attori, oltre ai due nominati, sono in campo, incapaci di formare un blocco unico. Lo si è visto alle elezioni anticipate del 2008. E ora, con la modifica della Costituzione approvata nel parlamento dominato dall’Enm (Ertiani Nazionaluri Modsraoba, Movimento nazionale unito), che prevede meno poteri al presidente e più al primo ministro e all’assemblea, il voto del prossimo anno è il vero banco di prova.
Saakashvili, che vuole passare dalla poltrona di presidente a quella di premier visto che un terzo mandato non gli è concesso e la modifica della Carta costituzionale è il grimaldello per rimanere padrone del campo, non si fa scrupoli e fa randellare l’opposizione che scende per le strade. Pochi, come nel 2007, se ne accorgono fuori dalla Georgia. L’Europa ha altro a cui pensare, anche se la bandiera con le stelle è sempre accanto a quella georgiana dietro lo scranno dell’autocrate di Tbilisi. Stranezze. I giochi, come al solito, li fanno altri.