Fonte: http://www.france-irak-actualite.com/article-la-syrie-objet-de-toutes-les-attaques-74534686.html
Le rivoluzioni arabe ribattezzate “dei gelsomini” o “primavere” strumentalizzano l’aspirazione sincera dei popoli ad uguaglianza, giustizia, fine del nepotismo e soprattutto al lavoro per poter vivere decentemente e per abbattere i regimi che contestano la visione americana del mondo e in particolare della sua regolamentazione del conflitto israelo-palestinese. Tutto ciò sul modello delle rivoluzioni “arancioni” o di qualunque altro colore che, nel nome della democrazia assurta a valore supremo ed universale, miravano in Europa orientale, sulla scia del crollo del comunismo sovietico, a ribaltare poteri eletti sì democraticamente, ma non affatto favorevoli a ciò che chiamiamo “Occidente”, vale a dire gli Stati Uniti d’America.
Le ONG umanitarie controllate da Stati o multinazionali
Le numerose organizzazioni internazionali non governative, che agitano lo stendardo dei diritti dell’uomo o della democrazia, agiscono in realtà grazie ai molteplici appoggi degli Stati Uniti, per destabilizzare i regimi considerati ostili a Washington, basandosi su alcune legittime rivendicazioni dei popoli.
In un recente convegno all’Assemblea Nazionale su questo argomento, un rappresentante dei servizi francesi ha esposto i dati di un censimento secondo il quale il 70% delle organizzazioni preoccupate del bene dell’uomo è controllato da Stati o multinazionali. Il deputato Bernard Carayon precisava qualche minuto dopo che in realtà ciò vale per il 100% delle più importanti fra queste.
Appena prima del convegno, l’ammiraglio Lacoste mi diceva che gli Stati Uniti hanno una lunga esperienza nel contraporre strumentalmente nemici ad altri nemici, sin dai tempi degli islamisti afghani contro i sovietici e che, nel porre le basi della creazione di Hamas per contrastare al Fatah, Israele aveva fatto lo stesso. Le ONG sostenute da Washington utilizzano a tutt’oggi gli slogan dei diritti umani che permettono a certi islamisti di mascherarsi da democratici.
D’altronde non bisogna fare confusione fra i salafiti del Mashreq e quelli del Maghreb che non hanno né le stesse motivazioni né le stesse ambizioni, né le stesse modalità operative. L’Arabia Saudita, alleata dell’America e in accordo con essa, sostiene da anni i gruppi estremisti musulmani che permettono gli interventi americani – cosa che per poco non le si è ritorta contro l’11 Settembre 2001 – e in particolare le organizzazioni salafite ostili al Baath, il partito laico al potere in Siria.
Disinformazione su Al-Jazeera e Al-Arabiya
I moderni mezzi di comunicazione, internet e gli sms, permettono di sviluppare rapidamente slogan di rivendicazione realizzando parimenti un’ “agit-prop”, una propaganda che non è mai stata così efficace. Tuttavia essa non fu sufficiente in Libia, dove è stato necessario questo disastroso intervento militare sotto il falso pretesto di proteggere i civili e che finirà per scacciare Gheddafi dal potere dopo numerose difficoltà e tragedie umane, perché l’esperienza dimostra che egli aveva degli appoggi importanti; ma tale conflitto sfocerà in un vuoto politico che porterà alla divisione del paese e al suo seguito di catastrofi.
I media arabi più importanti come Al-Jazeera e Al-Arabiya, legati agli interessi americani, diffondono immagini, autentiche o manipolate, sostenendo le rivolte quando si confanno ai loro obiettivi e occultandole in caso contrario. Inoltre, l’AFP (Agence France-Presse, ndt) e le altre agenzie occidentali non hanno che da riprendere queste immagini, abbellendole con le testimonianze dei “militanti dei diritti umani”.
La Siria è sotto attacco perché il regime ha da sempre sostenuto la causa araba, accogliendo i palestinesi esiliati; ha rispettato la cultura musulmana del paese pur combattendo fermamente l’islam politico radicale; ha riunito comunità diverse: sunniti, sciiti, alawiti, cristiani, drusi, curdi in una nazione dal comune destino.
Da quando è arrivato al potere senza averlo cercato, il giovane Presidente Bashar Al Assad ha annunciato e deciso che voleva riformare il paese per adattarlo ai tempi moderni e ha potuto realizzare certe riforme nel campo dell’economia, della finanza e dell’amministrazione. Tuttavia, pressanti avvenimenti esterni come l’assassinio di Rafic Hariri nel Febbraio 2005 – di cui il suo paese fu subito accusato, la guerra israelo-libanese di luglio-agosto 2006 ed altri avvenimenti, gli hanno impedito di portare a compimento simili riforme con la calma necessaria. Ma ha recentemente reiterato il suo desiderio di cambiamento senza rivoluzione.
D’altronde la popolazione siriana, forte dei circa 20 milioni d’abitanti, è rimasta in silenzio, mentre le autorità temevano che delle manifestazioni di sostegno conducessero a scontri con l’opposizione, in particolare con i gruppi salafiti armati e provenienti dall’estero, i quali sperano in una rivincita all’annientamento avvenuto nell’82; i manifestanti che si mostrano soggiogati alle catene arabe non sono che alcune migliaia, 50.000 nell’assembramento più importante. Abbiamo avuto prova della disinformazione di Al-Arabiya e Al-Jazeera il giorno in cui queste diffondevano “in diretta” immagini di una manifestazione sotto il sole di Damasco che calava insieme alla grandine sulla città, fatto assai raro in Siria.
La brutale virata del Presidente Sarkozy
Quali sono allora questi “manifestanti pacifici o rappresentanti dei diritti umani incontrati dall’AFP” che hanno ammazzato con armi da fuoco decine di rappresentati delle forze dell’ordine?
E’ chiaro che la maggioranza del paese sostiene i dirigenti nazionalisti attuali, anche se aspira ad un maggiore liberalismo economico e politico, alla creazione di nuovi posti di lavoro e un migliore tenore di vita, ma essa comprende che si tratta di un complotto finalizzato a distruggere l’unità del paese per instillare rivalità etniche e confessionali, che permetteranno infine di dettare un’altra politica più conciliante verso l’America.
In questa congiuntura, la brutale inversione di rotta del Presidente Sarkozy non è compresa dai siriani, che avevano visto nel ravvicinamento fra i due paesi, seguito da importanti cambiamenti in tutti i settori, il contraltare dell’ostinazione anti-siriana di Chirac. Inoltre, il ragionamento strategico del nuovo inquilino dell’Eliseo giungeva a conclusione che non poteva farsi una grande politica araba della Francia rifiutandosi d’interloquire con la Siria e che la questione iraniana era legata all’impegno di Damasco, come la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Il Presidente Assad aveva allora offerto la sua disponibilità in tale questione in occasione della sua visita a Parigi nel novembre 2010.
Il ruolo centrale della Siria negli equilibri mediorientali è ulteriormente rafforzato dalla sua influenza sul futuro del suo vicino dell’est: dall’inizio dell’intervento americano in Iraq e sino ad oggi, essa ha accolto un numero molto elevato di rifugiati fuggiti dal loro paese per molteplici ragioni. Le stime più sicure parlano di 1,5 milioni stanziati in Siria, forse anche di più. Oltre all’impegno umanitario da riconoscersi al regime siriano, è evidente che questa massa di rifugiati deve giocare un ruolo nell’avvenire dell’Iraq, che è ancora alla ricerca di stabilità.
La diplomazia francese dà l’impressione di essere sistematicamente pro-americana
Essendo i “gendarmi del mondo” impegnati ed impelagati altrove, il regime siriano non ha da temere un intervento militare, che sarebbe d’altronde catastrofico per tutti, e dovrebbe giungere a domare gli attori interni del complotto senza dover temere altro che le dichiarazioni virtuose di Washington, Bruxelles e Parigi o delle sanzioni economiche prive di grande efficacia strategica a breve termine.
La Francia deve comprendere subito che i tentativi finalizzati a instaurare regimi favorevoli alla guida dei paesi arabi, idea di Washington, non è conforme alla volontà dei popoli coinvolti, che presto o tardi la rifiuteranno. Essa deve ritornare ai fondamenti di una politica estera indipendente, rispettosa del diritto dei popoli a decidere essi stessi del proprio destino.
Il mondialismo ha fatto il suo corso. L’Unione Europea è esangue e si assiste al ritorno delle sole realtà che contano, che sono le nazioni che riuniscono popoli dal passato e dai destini comuni. Le nazioni possono comprendersi reciprocamente e cooperare su obiettivi ripartiti e condivisi ma il “villaggio globale” non ha abolito le rivalità d’interessi e coloro che rinunciano alla propria sovranità nel nome di un utopico ideale di unione dovranno un giorno rendere conto della loro rinuncia. La legge inesorabile delle relazioni internazionali prende in considerazione solo le realtà sensibili. La Francia deve ritrovare la sua indipendenza e sovranità, anche nei suoi spazi marittimi lontani, malgrado la preoccupazione di certi Stati al riguardo. Così risponderebbe al suo destino mondiale di potenza tradizionalmente opposta all’imperialismo, qualunque esso sia. Essa si inscriverà allora nelle previsioni visionarie di Teilhard de Chardin, che prevedeva degli insiemi sempre più grandi ma costituiti da cellule sempre più strutturate e complesse.
La diplomazia francese deve nuovamente tornare alla indispensabile via verso la comprensione del senso della storia del mondo e non dare più l’impressione d’essere sistematicamente associata agli interessi d’una America che mal s’adatta all’emergere di un mondo nuovo e che non ha nulla da offrire ai suoi alleati, se non una partecipazione ad avventure belliche costose sotto tutti i punti di vista. I recenti cambi di leadership nel mondo arabo non mostrano una riflessione strategica globale e, per tornare all’esempio siriano, sbaglieremmo a credere che la contestazione tenuta artificialmente pervenga ai suoi fini in un paese dove gli abitanti sono orgogliosamente nazionalisti e fieri del loro ricco passato. Alcune decine di migliaia di manifestanti, anche centomila, non son nulla in rapporto a circa 20 milioni che assistono al momento silenziosamente alla destabilizzazione di un potere che, paradossalmente, ha annunciato delle riforme ma attende il ritorno alla calma per metterle in atto e si trova nella posizione migliore per portarle a compimento.
(21/5/11)
Traduzione di Giacomo Guarini