CURDI E UIGURI NELLO SCACCHIERE AMERICANO-SIONISTA
L’EURASIA E IL MONDO LIBERO IN PERICOLO
Nei nostri recenti commenti e analisi degli avvenimenti accaduti in Siria e Libia, abbiamo messo in risalto alcuni elementi essenziali:
– Da un punto di vista militare, l’opposizione appoggiata da Washington si trova dalle truppe di talebani (1) – qualcosa che potrebbe spiegare l’assassinio mediatico di Bin Laden (poco conta se ciò è accaduto in una spiaggia di Miami, insieme a George Bush, o che fosse già morto da alcuni anni, la cosa essenziale è che sia deceduto pubblicamente e che la sua presenza non si oppone all’integrazione totale e ufficiale dei Talebani nel dispositivo strategico yankee), per Washington il Mediterraneo torna a essere il “Mare nostrum” controllato dalle truppe dell’ufficialmente defunto Bin Laden;
– Il dispositivo strategico yankee ha come obiettivo sia il furto del petrolio libico, iracheno, algerino, ecc., il controllo delle riserve d’acqua a favore d’Israele, ma al momento si vogliono circondare e isolare l’Iran e la Cina, mentre si lanciano minacce alla Russia;
– L’isolamento dell’America latina e dei Caraibi, in particolare del Venezuela e di Cuba, dai suoi alleati eurasiatici, con lo scopo di derubare le loro riserve naturali e di sottomettere le popolazioni al precedente statuto delle “Banana Republics”;
– Questo piano yankee non è quello di una “Pax Americana” che potrebbe tentare i codardi: vivremo nell’indegnità ma almeno in pace! – ma per quanto concerne la destabilizzazione generalizzata di tipo irachena e afgana, è ormai da una ventina di anni che la stanno sperimentando senza tregua.
Abbiamo concluso rilevando la necessità di costituire il blocco eurasiatico sorretto dai suoi quattro elementi essenziali: Iran, Russia, Cina e Turchia. I cambiamenti che colpiscono quest’ultima sono tuttavia problematici. L’attacco della “Flottiglia della Libertà” l’anno scorso e l’assassinio di turchi da parte della marina israeliana sono stati la scintilla da parte del governo di Ankara di soddisfare il sentimento popolare allontanandosi dallo Stato sionista, avvicinandosi ai paesi che si oppongono al dominio yankee del pianeta. Ci erano già stati degli attriti tra la Turchia e gli USA, particolarmente per quanto concerne la questione curda durante la guerra d’Iraq nel 2003, quando truppe turche penetrarono nel Kurdistan iracheno, in modo un po’ troppo episodico secondo i nostri gusti. Ciò fu tuttavia la conseguenza di dodici anni di destabilizzazione dei curdi, ai quali la CIA e il Mossad avevano promesso nel 1991 l’indipendenza e la riunificazione del Kurdistan, mediante la riunificazione del segmento iracheno, iraniano, siriano e turco.
Bugia yankee, poiché Saddam Hussein governò l’Iraq fino al 2003, per dodici anni si è vendicato dei curdi e degli sciiti del suo paese. Nel frattempo, la ribellione curda, insufficiente o limitata nel suo sviluppo per non aver raggiunto i suoi obiettivi in Iraq, tuttavia era riuscita a destabilizzare la Turchia. In quel momento, la Turchia e la Gran Bretagna, ad esempio, si trovarono nella stessa situazione: quella di essere i “pilastri” della NATO, mentre all’interno del proprio territorio erano destabilizzati dai gruppi separatisti terroristi affiancati da Washington: l’IRA e curdi. Mentre che le operazioni britanniche nell’Ulster si configurano sotto forma di una contro guerriglia urbana, quelle dell’esercito turco in Kurdistan si caratterizzano come una contro guerriglia rurale, che agisce su grandi spazi operazionali, mediante l’uso di materiale “pesante”: carri armati, elicotteri, aerei, artiglieria, ecc…. in appoggio dello spiegamento della fanteria. Quindi, una guerra costosa che colpisce l’economia nazionale che nel contempo destabilizza il paese.
Allo stesso tempo, l’altra potenza asiatica, la Cina, sta affrontando un simile processo di destabilizzazione separatista nelle sue provincie del Tibet e dello Xinkiang, oltre a dover affrontare la problematica di Taiwan. È di pubblico dominio che Taiwan costituisce un protettorato degli USA, che il Dalai Lama è appoggiato da Washington, così come ce lo fa notare tutta la campagna mediatica orchestrata a livello mondiale. Il problema di Xinkiang forma parte del processo di destabilizzazione dell’Asia centrale, esteso fino all’Africa settentrionale e l’Europa così come lo abbiamo conosciuto tramite i sanguinari attentati dei Talebani a Madrid, Parigi, Londra, Mosca, attualmente e che, in quel tempo, aveva raggiunto la Siria.
Potremmo dunque stabilire un confronto tra la Turchia e la Cina, in quanto entrambi i paesi soffrono lo stesso fenomeno; tuttavia, diversamente dagli altri, la Cina ha ripristinato la pace in quelle province, almeno di forma provvisoria, poiché è evidente che i manipolatori dei separatisti ripeteranno il loro tentativo. Un’altra differenza, almeno formale, è che il separatismo che colpisce la Cina concerne la creazione di una potenza ufficialmente competitiva, mentre che nel caso della Turchia, come in quello della Gran Bretagna e della Spagna, si tratta di un alleato nel marco della NATO.
Un’altra differenza essenziale: mentre che per la Cina il separatismo curdo gli è totalmente alieno, la Turchia, o per lo meno una parte della sua opinione pubblica e governativa, appoggia il separatismo dello Xinkiang con il pretesto che la popolazione di quella provincia musulmana è di sangue e cultura turca. Infatti, la formulazione di questa rivendicazione turca è abbastanza recente da attribuirla ai Talebani.
CASO 1: USA-ISRAELE E KURDISTAN
Difatti, esiste un altro elemento comune ai due tentativi di destabilizzazione, un elemento che merita un approccio tanto vivo quanto la volontà di celarlo: la presenza attiva d’Israele. Il Kurdistan iracheno, luogo dove inizia il processo di destabilizzazione della regione, gode l’autonomia sotto la presidenza di Massud Barzani il quale, appoggiato da Israele, si presenta già come capo di uno Stato indipendente. Perciò, nel maggio 2010, Barzani si diresse al governo iracheno per negoziare gli accessi nei campi petroliferi curdi. Nella capitale curda Erbil, la bandiera irachena è proibita, intanto che vari paesi occidentali hanno aperto in quel luogo un consolato.
Per quanto concerne la Difesa, Massud Barzani, già in possesso di propri servizi “speciali”, sta lavorando al progetto di creazione di un esercito “regionale” curdo, il termine “regionale”, significa che questo esercito potrebbe reclutare e operare in tutte le zone della popolazione curda, non solo dell’Iraq ma anche della Turchia, dell’Iran e della Siria. In altre parole, uno strumento di “destabilizzazione regionale”. Per tale motivo Massud Barzani doveva presentare il progetto al generale Dany Yatom, ex direttore del Mossad, e a gennaio 2010 a Barack Obama; l’impresa israeliana Camerone Military Services è, secondo il bollettino informativo confidenziale, Intelligence On line, incaricata a operare la fusione delle milizie peshmerga.
L’appoggio della tribù Barzani a Israele è una realtà storica e ciò sin dalla fine degli anni trenta, quando Ruben Shilia, lavorando per la Jewish Agency, lo visitava in Kurdistan. Allora già c’erano alcuni membri della tribù, di religione giudea, che emigravano in Palestina. Shilia, al pari di David ben Gurion, uno dei fondatori dello Stato sionista. Era anche uno dei padri della “teoria degli alleati periferici”, ripresa nuovamente nel 1982 da Oded Yinon nella rivista dell’Organizzazione Sionista Mondiale e che propone la divisione dei paesi arabi in gruppi etnici e religiosi. Nel 1958, dopo la caduta della monarchia anglofila, il Mossad prese il cambio di guardia del KGB, il quale aveva chiesto a Mustafà Barzani di deporre le armi e disattivare la brigata curda formata da Tachkent; rafforzando la sua presenza sotto i fratelli Aref, presidenti dell’Iraq dal 1963 fino al 1968.
In questo lasso di tempo, i peshmerga erano già stati inquadrati dagli israeliani sotto il comando di Eliezer Tsafrir, responsabile locale del Mossad che aiutò anche a Massud Barzani nella creazione del servizio segreto del PDK, il Parastin. Mustafà Barzani viaggiò a Tel-Aviv nel 1968 e nel 1973, trovando lì a Golda Meir e Moshe Dayan. Nel 1980, Menahem Begin ammise che Israele stava fornendo armi ai ribelli curdi e appoggiando la creazione dello Stato curdo.
Dopo l’occupazione dell’Iraq nel 2003, decine di agenti del Mossad entrarono in Kurdistan come ingegneri o esperti tecnici. L’ampiezza dell’operazione condotta da Dany Yatom e Shlomi Michaels fu rivelata nel 2004 dal quotidiano israeliano Yediot Aharonot. Yatom e Michaels avevano creato, in associazione con i membri della tribù Barzani, l’impresa Kudo, incaricata nella costruzione dell’aeroporto di Erbil e nell’addestramento di comandi. Smentite dall’allora Primo Ministro Iyad Allaoui, queste informazioni sono state confermate nel 2006 dalla “BBC2” in un reportage nel quale si mostravano gli agenti israeliani al lavoro.
I rapporti di Jalal Talebani con Israele si veicolavano tramite il suo suocero Ibrahim Ahmed, il quale viveva a Londra sotto la protezione del MI6. Si sa, tuttavia, che lui nel 1978 ebbe un incontro con Shimon Peres a Parigi, nell’ambasciata d’Israele e nel 2008 con Ehud Barak in Grecia a favore di un congresso internazionale socialista (così fu anche Laurent Gbagbo, spinto ad allearsi con Israele).
Attualmente, gli addetti ai rapporti tra Kurdistan e Israele sono Binyirfan Barzaani, uno dei cinque figli di Massud per il PDK e Qutab Talabani per l’UPK. Qutab Talabani è stato il rappresentante del Governo regionale curdo negli USA, dove si è sposato con Sherri Kraham, figlia di un membro dell’AIPEC, la lobby israeliana.
CASO 2: USA-ISRAELE E LO XINKIANG
La questione sull’appoggio turco al separatismo dello Xinkiang è da considerarlo di portata sopranazionale, estendendosi per tutta l’Asia centrale. Abbiamo scritto che le faccende della Cecenia o del Cachemir sono stati lo spunto offerto ai Talebani per operare fuori dal conflitto afgano. Tuttavia, la portata sopranazionale dell’appoggio turco al separatismo dello Xinkiang ha la sua origine dal fatto che le frontiere dello Stato turco non possiedono tutte le popolazioni di razza e cultura turca, ma che alcune di esse si trovano in tutta l’Asia centrale fin oltre le frontiere della Cina, particolarmente nella suddetta provincia.
Lo strumento di quest’operazione di destabilizzazione è la setta dei Fethullahisti, degli Hodyafendi (Maestro Sufi) Fethullah GÜLEN. Sintetizzeremo il caso di GÜLEN, dicendo sul suo conto che era un predicatore di moschea sulla linea di Sayed Nursi fino al 1998, quando si stanziò in Pennsylvania, USA. Da lì, dalla sua estesa proprietà agricola dove vivono un centinaio di discepoli, regna sul suo impero che si estende in tutta l’Asia di lingua turca, con una rete di scuole e università, di quotidiani ed emittenti radio e televisioni, sostentato con una riserva finanziaria di 25.000 milioni di dollari. Ufficialmente, la setta si è presentata come radicata nella tradizione delle fratellanze sufi turche, facendo riferimento ai grandi maestri turchi del passato tali come Jalal ad-Din Rumi e Yunus Emre, ma anche di Sayed Nursi i cui discepoli possiedono società in quasi tutto il mondo; ostentano la tolleranza e l’intellettualismo elevato caratteristici del Sufismo. In concreto, i Fethullahisti costituiscono una lobby molto potente nella politica turca, in particolare rappresenta la spina nascosta del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Adaletve Kalkinma Partisis, AKP), il quale conta già con otto membri al potere; le sue scuole sono dei centri di formazione dei quadri politici, amministrativi e militari.
Come è giunto un semplice predicatore alla guida di un così colossale impero tanto pubblico quanto occulto?
Precisamente è la parte nascosta che lo spiega. Ben si capisce che l’ideologia, tanto quella dell’AKP quanto quella dei Fethullahisti si identifica con il Nazional-islamismo, con le sue implicazioni nella politica internazionale: l’opposizione al Sionismo e al suo protettore americano, la simpatia verso i movimenti rivoluzionari in Palestina, in Iran e per le potenze che almeno controbilanciano quella dell’”impero” yankee: il blocco dell’ALBA, Russia e Cina. Ancora meno si capisce la presenza di GÜLEN negli USA e, all’interno delle su sfere, uomini come Marc Grosseman e Morton Abramowitz, vecchi ambasciatori degli USA ad Ankara, che agiscono in collaborazione di Graham Fuller, vecchio vicepresidente della CIA e autore di uno studio sullo Xinkiang nel 1998, rivisto nel 2003 dalla Rand Corporation.
Difatti, Abramowitz e Fuller nel settembre 2004 organizzarono a Washington “un governo del Turkestan in esilio”, ufficialmente diretto da Enwer Yusuf Turani, amico di Gülen. Quali interessi perseguono Grosseman, Abramowitz e Fuller promuovendo il progetto di rinascita del Grande Impero Islamico Ottomano in Asia Centrale? Nient’altro che la creazione di un altro anello nella catena di destabilizzazione che comprende il Cachemir, la Cecenia, Afganistan, l’Iraq, fino ad arrivare alla Siria e il nord dell’Africa, dove questa catena si unisce con l’altra, quella del fronte atlantico, che si estende dall’Irlanda del Nord fino all’Africa occidentale. In questo singolare progetto si cerca di colpire la Cina – la grande potenza nei confronti della quale tutti i popoli liberi guardano con speranza, sicurezza e ammirazione, con il falso pretesto che i musulmani di quel paese soffrirebbero emarginazione e tentativi di deculturazione; così lo affermano Rabilla Kadear, presidentessa del Congresso Mondiale Uigur, la quale vive negli USA, e Mehmet Emin Batur che governa l’ETIC (Centro d’Informazione del Turkestan Orientale).
Quindi, si tratta di spezzare il grande progetto eurasiatico che, anche se non costituisce una minaccia diretta agli USA, rappresenta, tuttavia, una difesa dei popoli liberi contro il suo imperialismo e il suo sottoprodotto, il Sionismo; progetto che si articola su due elementi essenziali: l’islam nella sua manifestazione turca e iraniana, le popolazioni musulmane cinesi dovrebbero svolgere il ruolo di elemento unificatore, non di discordia.
LA NOSTRA ANALISI
Ad Ankara come a Kabul, così come in altri luoghi assistiamo a un fenomeno quanto meno curioso: quello che vede gli uomini della CIA e del Mossad che assumono il comando della Rivoluzione Islamica, Non crediamo che molti musulmani si lascino ingannare da tali manovre! Tuttavia sono sufficienti per alimentare il progetto yankee-sionista che, in questo momento è diretto contro la Turchia prima che alla Cina, poiché è il governo di Ankara che sin dal 1991 si trova sottomesso al ricatto della destabilizzazione da parte dei curdi. Un dettaglio interessante che avvicina entrambi i teatri è che a febbraio 2008 alcuni Fethullahisti – uno di loro, trovandosi nella polizia, incaricata nelle intercettazioni telefoniche, cosi come è stato pubblicato dai quotidiani Vatan e Hürriyet il 2 giugno 2008 – riuscirono a intercettare e pubblicare su Internet una conversazione telefonica del generale Münir Erten nella quale, oltre ad alcuni dettagli sulla salute del generale Ergin Saygun, si discuteva sul piano di una operazione da parte dell’esercito turco nel Kurdistan iracheno.
Nonostante questa metà di maggio 2011 la situazione in Kurdistan si sta aggravando, secondo un appello alla violenza da parte di Abdullah Öcalan (http://en.wikipedia.org/wiki/Abdullah_%C3%96c), leader del PKK, dal carcere dove si trova rinchiuso. Nonostante l’appello alla pace e all’unione patriottica da parte di Recep Tayyip Erdogan, capo di Stato, migliaia di manifestanti si sono radunati in varie città turche, con scontri violenti (questo 15 maggio) a Diyarbakir. In quello stesso giorno, l’esercito turco ha teso un’imboscata e ha ucciso dodici membri del PKK che stavano attraversando la frontiera dall’Iraq.
Si può, dunque, considerare una scalata della violenza, con un aumento della pressione curda guidata dagli amici yankee-israeliani di BARZANI su Ankara con l’obiettivo di forzare la mano ai suoi dirigenti a favore del piano degli amici yankee-israeliani di BÜLEN diretto contro Beijing.
Consideriamo positivo il fatto che gli scambi commerciali tra la Turchia e la Cina si triplicheranno nel 2015, e che d’altro canto il Dott. Hiddayet Nurani Ekrem, influente membro del Turksam, il Centro di Analisi Strategica (Stratejik Analizler Merkezi) diretto da Sinan Oğan e vicino alle Forze Armate, si è avvicinato al nostro punto di vista, considerando il Turkestan come un ponte di pace e di amicizia tra i due paesi. Speriamo che molti storici turchi si accorgano che non erano cinesi, bensì antenati dei Grosseman, Abramowitz, Yatom, Kraham, ecc., quelli che nel 1917 firmarono insieme a Balfour gli accordi per rendere evidente la Palestina dall’impero Ottomano. In quel momento tedeschi e francesi si stavano ammazzando a vicenda in una guerra fratricida per il possesso delle province dell’Alsace-Lorraine, in francese, Elsass-Lothringen, in tedesco, ciò accadeva mentre il “US president Wilson” stava pianificando la seconda guerra mondiale con la cui fine tutti i popoli europei furono in ugual misura vinti e sottomessi allo “Zio Sam”. Secondo questo esempio, si può prevedere che se i patrioti e i musulmani turchi si lasciano stupidamente ingannare dagli yankee-sionisti, ciò non si trasformerà nella rinascita della “Grande Turchia”, ma lo sprofondare nel sangue e nel fuoco di tutta l’Eurasia, mentre che l’impero yankee e il suo sottoprodotto israeliano avrebbero le mani libere per sottoporre l’umanità alla loro tirannia planetaria, la più crudele, la più implacabile della storia.
Ultime notizie! Il 20 maggio le forze di sicurezza russe hanno appena fermato un gruppo di israeliani e di russi, uno di quei gruppi conosciuti sotto il nome di terroristi ceceni, residenti in Ecuador! – e armi e materiale elettronico e di comunicazione sofisticata – come quelli prodotti da Israele e di cui ne fa uso il Mossad! – dettagli che inducono a pensare che si trattasse di un progetto di destabilizzazione della Russia da parte dello stato sionista.
Note:
(1) il ponte aereo per il trasporto di migliaia di Talebani dall’Iraq fino alla Siria e la Libia ha un precedente storico: l’evacuazione di 8.000 Talebani dalla città afgana di Kunduz nel novembre 2001 – solo dopo due mesi dagli attentati alle “Torri Gemelle” – da parte della CIA con l’aiuto dell’aviazione pachistana. Alcuni alti comandi della “US Forces” avevano protestato con la loro ostinata ingenuità per la scarsa intesa nei confronti della doppia strategia guidata da Washington e Langley, le cui prime vittime sono state i soldati yankee, traditi dai loro dirigenti, dalla CIA e da altri malviventi.
Tahir de la Nive
Caracas, 22 maggio 2011
(trad. di V. Paglione)